La Rivista per l'insegnamento e l'apprendimento delle lingue

Editoriale

Questo è un editoriale dedicato esclusivamente a Babylonia. Alla domanda, posta anni fa da una collega, da cosa derivasse la particolare forza ispiratrice di “Babilonia la meretrice”, non ha smesso di intrigarmi. Nella prostituzione c’è di per sé una dimensione del femminile e del misterioso che abita la nostra immaginazione, a cui però, nel caso di Babilonia si aggiunge l’attrazione di un mito che non solo ha arricchito la nostra cultura occidentale con le sue variegate suggestioni, ma che ha pure formato il nostro subconscio cristiano-giudaico in modo indelebile, anzi archetipico. Ecco quindi proporsi il fascino del rapporto dialettico tra mito e realtà. Come mai, ci chiediamo, la capitale di una delle culture più complesse e brillanti della storia dell’umanità, a cui va non solo il merito di aver aperto la strada alla giustizia e alla dignità umana con il “Codice di Hammurabi”, ma di aver realizzato, grazie alla scrittura cuneiforme e un vasto patrimonio conoscitivo un benessere culturale, sociale e materiale eccezionale, è divenuta l’espressione del male in quanto tale, della hybris, simbolo di arroganza e superbia? Come ha potuto una società che al suo zenit, prima dell’avvento di Alessandro Magno, dominava l’Asia minore non solo con i mezzi della coercizione violenta, ma con la capacità di assimilare e integrare forme di vita e lingue diverse, assurgere a mito del disordine, del vizio e della depravazione? Una simile rimozione e trasfigurazione della verità storica sulla città tra il Tigri e l’Eufrate, la dobbiamo al fatto che la leggenda non tratta più di una città e di una cultura, ma di Dio e dell’uomo. Nella rappresentazione del Vecchio e del Nuovo Testamento il messaggio non lascia adito a dubbio alcuno: chi costruisce torri per provocare Dio e mettersi al par suo, sarà colpito dall’ira divina nel modo più terribile: “Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro!– Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cercarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra.” (Genesi 11, 7-9). Agli uomini viene tolta la lingua, ciò che li mette in contatto, tratto distintivo indispensabile del genere umano stesso. La trasfigurazione mitica si compie dando luogo alla manifesta strumentalizzazione della realtà: infatti, la torre di Babele rispondeva in verità ad un’elementare forma di adorazione e di ricerca di Dio: “bab” la porta, “ili” verso Dio.
Babylonia ha tratto la sua ispirazione dall’idea di restituire – simbolicamente – all’uomo le sue lingue e con ciò anche la sua dignità. Questo è ciò che abbiamo cercato di fare con il nostro piccolo contributo negli ultimi venti anni ed è ciò che cercheremo di fare nei prossimi venti, sempre con la stessa passione.
GG