La Rivista per l'insegnamento e l'apprendimento delle lingue

Editoriale

Come si manifesta concretamente la marginalizzazione delle lingue minoritarie? L’attualità svizzera non è certo avara di esempi al riguardo. Ne scegliamo pertanto due che permettono di ben illustrare il problema a livelli diversi. A chi segue le sorti elvetiche anche solo distrattamente non sarà sfuggita la lamentela per la carenza di rappresentanti delle minoranze nelle posizioni chiave della politica e dell’amministrazione. Al cospetto di una tale situazione, si può anche restare allibiti di fronte ai criteri utilizzati nel bando di concorso pubblicato recentemente per la sostituzione del vice-cancelliere della Confederazione: infatti uno dei criteri richiede la padronanza del tedesco e del francese e, preferibilmente, anche dell’italiano e dell’inglese. Il messaggio è chiaro: l’italiano quale lingua nazionale si ritrova alla pari di una lingua straniera e questo nel concorso per il rinnovo di una delle funzioni politico-amministrative più importanti del paese, attualmente occupata dall’italofono Achille Casanova.
Il secondo esempio ha a che vedere con l’insorgere nei Cantoni della Svizzera centrale e orientale di un’ampia resistenza contro l’insegnamento di due lingue straniere nella scuola elementare. Si è infatti formato un comitato denominato “Una sola lingua straniera nella scuola elementare” e contemporaneamente sono state lanciate iniziative e raccolte di firme. Non è casuale che ciò avvenga in quei Cantoni che, guidati da Zurigo, hanno ormai dato – con la benedizione della CDPE – la priorità all’inglese nella scuola elementare. Anche in questo caso il messaggio è chiaro: l’inglese assume un ruolo dominante in un mercato linguistico deregolamentato a scapito delle lingue minoritarie. Nel frattempo sappiamo anche che l’ordine in cui si apprende una lingua seconda non è neutro. Sarebbe infatti illusorio pensare che chi ha acquisito l’inglese obbedendo alla moda del momento riservi poi ancora un interesse per le lingue minoritarie. Negli ultimi decenni la Svizzera tedesca ha favorito massicciamente il dialetto, non da ultimo proprio per difendere la propria identità minoritaria nel mondo germanofono. Ora, dopo aver preso atto delle conseguenze di questo atteggiamento di chiusura linguistica – evidenziate ad es. dall’inchiesta PISA – si è iniziato a fare marcia indietro proprio nella scuola reintroducendo l’obbligatorietà dello Schriftdeutsch. Sarebbe un singolare paradosso storico se contemporaneamente si volesse lanciare una campagna contro le altre lingue nazionali. Che così non abbia da essere, lo dimostra la grande attenzione che sta ottenendo la mostra sull’italiano a Zurigo: “La dolce lingua. L’italiano nella storia, nell’arte, nella musica”. Si tratta di un’opportunità unica – la mostra sarà aperta fino al 29 maggio 2005 – per aprire la strada all’italiano quale lingua minoritaria al nord delle Alpi e per favorire una presa di coscienza della sua importanza culturale.

La redazione